FOCUS – Napoli in beta testing. Guida all’aggiornamento per la versione 2.0

benitez

Terzo posto, 12 punti nel girone Champions, una Coppa Italia, record gol in serie A (104), stile di gioco più propositivo fin dalla prima gara e appeal internazionale. Si potrebbe facilmente riassumere in questo modo il primo anno napoletano di Rafa Benitez. Esprimersi in questo modo però, senza analizzare per intero l’esperienza del tecnico spagnolo, vorrebbe dire essere persone eccessivamente positive o semplicemente dei tifosi. Il Napoli della scorsa stagione aveva tanti pregi? Certo. Era esente da difetti? No di certo. Anche in questo caso la sintesi viene in nostro aiuto, e così si potrebbe dire che il principale e forse unico vero difetto degli azzurri versione 2013-14 sia stato l’equilibrio, o meglio la sua mancanza. La teoria del “vince chi segna un gol in più” è di certo condivisibile e, soprattutto in campo europeo, consente al Napoli di fare quel salto verso il mondo delle big del calcio. In gare ormai perse il Napoli ha continuato a lottare, attaccando e proponendo gioco, cosa impensabile in passato, ma ogni teoria offensivista diventa pressoché inutile se a pugnalarti alle spalle sono gli altri membri della tua squadra.

Gli azzurri hanno dimostrato di non aver bisogno di una squadra dall’attacco supersonico per prendere gol imbarazzanti. Basta il Chievo (senza soffermarsi sulla maledizione Chievo di mazzarriana memoria). Analizziamo però la situazione reparto per reparto.

DIFESA

Il reparto che ha ricevuto le maggiori accuse, raggiungendo e superando record di dita puntate da parte di tifosi e giornalisti, è forse quello che, tra i tre, può vantare le maggiori attenuanti. Analizzando l’intera annata, e dunque inserendo nella critica anche gli arrivi di gennaio, ci si ritrova con un gruppo di difensori privato del suo capitano (di squadra e reparto), con terzini ammaccati e ricambiati con innesti nuovi e, in un caso, non all’altezza (ovvio che si parli di Reveillere). Albiol, al suo primo anno, ha tenuto finché ha potuto, ma tiare il fiato serve a tutti prima o poi. Fernandez ha fatto dei passi da gigante, sentendo la fiducia del tecnico, ma ha commesso qualche errore di troppo, dimostrando spesso di subire la pressione e mancare un po’ sotto l’aspetto del carattere.

Il vero dramma di questo reparto è rappresentato da un continuo calo di tensione. Per 90’ o più si dovrebbero mordere le caviglie degli avversari (dopo il Mondiale brasiliano occorre precisare “in senso figurato”), quasi ignorando del tutto il risultato. Che il Napoli sia ancora sullo 0-0 o che nell’area avversaria si siano fatti bucare per ben 3 volte da Higuain e soci, alla difesa azzurra dovrebbe importare davvero poco. In più di un’occasione invece, un avversario abbordabile o il vantaggio raggiunto sono stati motivo di rilassatezza. Ciò ha portato a regali tanto inattesi quanto ben graditi agli attaccanti avversari, a una critica amara da parte di tifo e stampa e, conseguentemente, a uno stato di tensione negli stessi difensori.

CENTROCAMPO

La mediana azzurra ha evidenziato un solo grande problema: i piedi. A tanta aggressività nel marcare l’avversario, soprattutto nel caso di quel folle, ossigenato, svizzero di nome Behrami (in grado di far segnare record per palle recuperate di partita in partita, nonostante una stagione fisicamente al 70%), troppo spesso non è corrisposta la qualità necessaria nella gestione del pallone.

Benitez ha chiesto fin da subito una rapida gestione del pallone, così da velocizzare la manovra e sfruttare al meglio il potenziale offensivo azzurro, soprattutto nei momenti di inferiorità numerica dell’avversario. Sia nel caso in cui la difesa recuperi palla e la ceda al centrocampo, o uno stesso centrocampista riprenda possesso della sfera, il tecnico ha dovuto assistere a scene imbarazzanti. Escludendo il caso in cui dal centrocampo la palla viene ceduta con successo al reparto offensivo, i casi evidenziati nella scorsa stagione sono tre.

1)      Dinanzi all’aggressività avversaria, la sfera torna alla difesa, dando inizio a un breve e pericoloso scambio ravvicinato dinanzi alla difesa.

2)      Notando la difesa in difficoltà e attaccanti troppo distanti, la sfera viene palleggiata a centrocampo, rischiando dribling o lanciano nel vuoto la palla in direzione della porta avversaria.

3)      Recuperata palla dopo una lunga corsa in direzione della propria porta, il centrocampista si volta e, intimorito dall’azione d’attacco avversaria decide di spezzare la manovra effettuando un lancio in una zona in cui, stando agli schemi prepartita, dovrebbe aggirarsi un compagno.

ATTACCO

Qui il discorso si fa davvero breve. Il lavoro degli attaccanti è stato svolto al meglio in questa stagione. Il reparto offensivo ha raggiunto cifre insperate a inizio stagione, dato il gran numero di nuovi innesti, riuscendo a sobbarcarsi anche il peso della fase difensiva. Callejon è di certo il simbolo del lavoraccio chiesto agli attaccanti da Benitez. Purtroppo però il dialogo con il centrocampo troppo spesso è risultato interrotto, con manovre, anche vincenti, risultate in molti casi frutto della fantasia dei singoli lì davanti piuttosto che di una manovra ragionata fin dalle basi.

Con la difesa e l’attacco arricchiti di un nuovo elemento, ma soprattutto fortificati dal fatto d’avere alle spalle un intero anno d’esperienza e schemi memorizzati, il vero reparto da rifondare pare proprio il centrocampo. Non a caso dovrebbe essere quello il reparto in cui verranno impiegati la maggior parte dei soldi destinati al mercato Napoli, con ben due acquisti. Questo potrebbe comportare la perdita di un elemento prezioso come Behrami (Dzemaili è sempre stato un oggetto misterioso e per lui si dispereranno in pochi), ma se ciò vorrà dire offrire alla mediana azzurra maggior lucidità e capacità di gestione della palla, inevitabilmente il Napoli 2.0 di Benitez potrà dirsi migliorato.

di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

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