di Gennaro Arpaia
Aria di Natale che per la prima volta quest’anno fa capolino al San Paolo.
La gara con l’Udinese è la prima di un trittico che può valere tanto per gli azzurri: dentro-fuori, oggi o (forse) mai più.
L’approccio non sembra male, come molto spesso accade, ma la squadra di Benitez ci mette poco a lasciare campo agli avversari.
Nessuno si sognerebbe un parallelo tra il tecnico spagnolo e il dirimpettaio friulano Guidolin, eppure quest’ultimo gli dimostra cosa significhi fare l’allenatore in Italia: adeguarsi, arrangiarsi, plasmarsi, colpire.
E lo fa benissimo l’Udinese, perché con il suo ormai noto 3-5-2 entra nelle viscere azzurre: non è la prima volta, perché con la stessa formazione la Juve ne aveva dati tre al Napoli quasi un mese fa.
Caso vuole che la difesa regga, che un calcio piazzato sblocchi la mente di un Napoli poco incisivo.
E nei minuti subito dopo il gol, con Pandev abile a sfruttare il metro quadro dell’area piccola per trafiggere Brkic, viene fuori tutta la qualità della squadra di casa, che trova con merito anche il raddoppio, siglato ancora dal macedone, sempre più compasso nelle aree di rigore avversarie.
Al rientro dagli spogliatoi, Guidolin ci crede: e fa bene, perché nel momento più morto della gara trova il pareggio, con Fernandes abile e Rafael, esordiente rimandato – forse a settembre? – troppo sicuro nel battezzare fuori una palla infima che si tramuta nel 2-2.
Il 3-3 finale è la conseguenza di quanto visto in campo: il gol di Basta è un po’ l’emblema di quello che il Napoli fa (in attacco) e da solo distrugge (in difesa).
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