Un anno, o poco più. Questo il tempo in cui Edinson Cavani è stato lontano dal suo San Paolo.
Suo, perché con i suoi 104 gol il contratto di proprietà dello stadio di Fuorigrotta poteva tranquillamente passare nelle sue mani; tifosi e addetti ai lavori non avrebbero detto di no.
Suo, perché per ogni gol il San Paolo ha urlato, gridato, gioito, regalando linfa nuova a quell’impianto che l’ultimo goleador l’aveva visto più di vent’anni prima.
Suo, perché per l’atleta di Dio, giocare a Napoli non può essere solamente un caso.
Edinson Cavani è andato via verso i lidi francesi ‘regalando’ al suo Napoli più di 60 milioni di euro.
L’incasso maggiore nella storia del club, sicuramente la cessione migliore dell’era De Laurentiis.
Il suo disegno azzurro è nato sotto Mazzarri e con Mazzarri è finito; peccato aver regalato ai ‘suoi’ napoletani solo una Coppa Italia, il primo vero trofeo del nuovo Napoli.
Al suo rientro a casa, però, l’ambiente non è dei più accoglienti.
I vicini acclamano i proprietari attuali, e sembrano non riuscire a vedere nel passato, quando insieme si è costruito qualcosa di importante.
Contrariamente, invece, a quanto si vede per il suo ex e attuale compagno Lavezzi: altro che fischi, solo applausi e il ritorno di quel coro “Pocho, Pocho” che vent’anni prima era stato del grande Diego.
Perché?
Perché l’addio di Cavani non è ancora stato accettato dai napoletani. Che avevano regalato tutto a quell’uomo quando era un normale giocatore di medio-bassa Serie A e l’aveva reso uomo, trasformandolo in uno dei calciatori più forti del pianeta.
Lavezzi, nei suoi anni azzurri, aveva segnato meno, ma sognato di più: il suo carattere da scugnizzo napoletano, nato solo per caso in Argentina, aveva contribuito ad addolcirne l’addio.
Le sue lacrime dopo la vittoria della Coppa Italia a Roma sono rimaste nel cuore della gente che, sommessamente, l’ha accompagnato dagli sceicchi.
Nessuna lacrima, invece, per il Matador: gossip, dichiarazioni dei parenti, tante parole dette a mezza bocca.
Un addio, dopo tre anni d’azzurro, che pareva scontato, ma che forse poteva essere evitato.
A cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)
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