Velocità devastante, dribbling sublime.
Continuità zero, certo; ma quando Dries Mertens gioca così, non ce n’è per nessuno. Le sue giocate infiammano i trentamila del San Paolo in un freddo pomeriggio domenicale. Si esalta, e i compagni lo seguono.
Fischio dell’arbitro, si parte. Ed è subito Mertens-show. Passo felpato, tocco di palla tanto delicato quanto incisivo. Lo appoggia un altro amante del pallone, Higuaìn; uno-due rapido, i difensori dell’Udinese possono solo stare a guardare. Il piccolo belga si fa spazio fra i giganti in maglia bianconera, forse anche con un po’ di fortuna: ma si sa, la fortuna aiuta gli audaci. Controllo volante, sinistro in diagonale chirurgico, imprendibile per le possibilità umane. Velocità d’esecuzione spaventosa, roba che solo in pochi in questa Serie A possono permettersi.
Ma Dries può, eccome. La sua partita continua a ritmi elevati, dinamica. Cambia addirittura sport: si improvvisa il miglior Bruce Lee per recuperare un pallone che lui stesso ha portato troppo avanti. Danilo, però, gli ricorda che questo è il calcio, inteso come football. Ammonito. La sua prestazione, come quella di tutta la squadra, cala vertiginosamente dopo la rete di Gabbiadini; l’Udinese prende il possesso della gara e rischia più volte di acciuffare il pareggio.
Nel secondo tempo succede poco o nulla, tolta l’autorete di Thereau.
di Pasquale La Ragione (twitter: @pasqlaragione)
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