Nella settimana che ruba spazio al campionato, tema principale dei calciofili di mezzo mondo sono sicuramente le nazionali. Oggetto tanto amato quanto mal sopportato dal cuore degli appassionati, motivo di rivincita in afose estati di numero pari e di discussione durante la stagione.
L’argomento più importante della settimana, prima ancora del “caso Marchisio” con “infortunio si/infortunio no” per il centrocampista della nazionale italiana e della Juventus, è sicuramente quello legato alla presenza dei cosiddetti ‘oriundi’, quei giocatori che di italiano non hanno nulla – se non una paventata discendenza, lontana nel tempo e nello spazio – ma che difendono i colori azzurri.
LA GLOBALIZZAZIONE – Non accade solo in Italia, chiariamolo. Il fenomeno stranieri in nazionale è ormai diffuso a tutte le latitudini, ma ha preso piede soprattutto in Europa.
Basti pensare alla nazionale tedesca, campione del mondo la scorsa estate in Brasile, l’esempio più chiaro di globalizzazione pallonara: quanti tedeschi effettivi erano presenti in rosa? Pochi, pochissimi. E pochissimi soprattutto in campo.
I campioni del mondo erano un mix di polacchi, turchi, africani, tutti naturalizzati sotto il segno della Merkel. In Brasile è andata bene, ricevendo i complimenti di tutti, ma dietro il fenomeno Germania le altre nazionali non staranno mica a guardare.
ADDIO ALLE NAZIONALI – Servirà a cancellare – o quantomeno stravolgere – il concetto delle nazionali.
Un contenitore ormai vuoto di informazioni e di significato. Mettete Italia-Germania del ’70, con italiani e tedeschi, e un’ipotetica Italia-Germania di oggi: brasiliani, polacchi, nordafricani, argentini e turchi. E poi, forse, qualche italiano e tedesco.
Il discorso non vuole essere classista, perché nel 2015 essere contro-globalizzazione è pura utopia che a nulla serve, ma le regole oggi in vigore distruggeranno le nazionali da qui a pochi anni se non dovessero cambiare.
A cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius)
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