“Avevo aspettato abbastanza. L’ho colpito dannatamente forte. La palla era là (credo). Beccati questo, stronzo. E non provare mai più a ghignarmi in faccia che sto simulando un infortunio.” – Roy Keane
Stagione ’97-’98, i Red Devils affrontano il Leeds.
Il difensore norvegese, Alf-Inge Haaland, in uno scontro con l’attaccante del Manchester United, Roy Keane, gli rompe i legamenti della gamba destra.
A distanza di quattro anni gli stessi giocatori si incontrano sul rettangolo da gioco.
Keane, a pochi minuti dalla fine, alza la gamba e stampa i tacchetti sul ginocchio del norvegese.
Cartellino rosso, cinque giornate di squalifica ed una multa di 150,000 sterline.
V come vendetta. Studiata, aspettata e voluta.
“Roy Keane mi ricorda Bryan Robson, ma non sa controllare i tackle come Robson, che riusciva a farla franca anche con le entrate assassine, senza rimediare un cartellino giallo. Robson sapeva andarci piano, prima che arrivasse l’ammonizione. Roy non molla, e si becca il cartellino. E mi va bene così, non deve cambiare il suo gioco.”
E se a farle queste affermazioni è un certo Alex Ferguson, come provare a contraddirlo? Roy Keane, irlandese purosangue, in campo dava l’anima e pezzi di caviglie. Ma fuori dal campo non era da meno. Chi ha avuto la sfortuna di incontrarlo non ne possiede un buon ricordo. Il tassista di Altrincham, se potesse tornare indietro, ci penserebbe due volte prima di salutarlo. Improperi, sguardo terso e una tragedia greca in strada. Noncurante delle persone ferme li a godersi lo spettacolo. Tipetto per niente propenso alla calma e alla pacifica convivenza con il suo ruolo da leader.
Ed ancora tifosi, lasciati a bocca aperta dalle sue accese contestazioni alla richiesta di un autografo. Compagni di squadra con i quali discuteva per una camera d’albergo ed accese liti con i suoi allenatori. Tranne che con Brian Clough, suo allenatore ai tempi del Nottingham Forest. Durante una partita contro il Crystal Palace, un suo disimpegno concede l’azione per il gol avversario. Alla fine della partita, il mister, senza alcuna spiegazione lo stende con un pugno.
Tante, così tante che per non dimenticarle le appuntava.
Liti, battibecchi, incontri di boxe, tutti riportati nella sua biografia “The Second Half”.
Consapevole dei suoi difetti, eppure mai realmente pentito.
“Una volta ho fatto una rissa durata 10 minuti con Schmeichel. Gli ho dato una testata perchè pensavo stesse facendo troppo il protagonista. Con Vieira ci fu un problema nel tunnel che portava al campo, lo vidi mentre agitava le mani contro Gary Neville e mi scagliai contro di lui. Ho tanti rimpianti nella vita, ma l’intervento su Haaland non è una di questi”.
La prefazione della sua biografia, racchiude la sua indole e rispecchia l’uomo che in campo dava l’anima per la sua maglia e che fuori dava botte da orbi, con la stessa intensità.
11 giornate, nel 2002, a seguito di un’ingiusta ammonizione arricchita da un “Tua moglie è più gentile con me” rivolto all’arbitro.
Nel 2006, abbandona il calcio giocato e passa ad allenare il Sunderland prima ed il Ipswich town poi.
Fallimenti su tutta la linea, come mister non è riuscito ad eguagliare la sua grandezza come calciatore.
“Sono un mediano d’interdizione. La mia parte in squadra è questa, impedire che la palla filtri dal centrocampo. Conosco bene i miei punti di forza e quelli deboli. Non sono uno che scende in dribbling e insacca da 20 metri, come mi piacerebbe. Capita che mi porti in avanti, se la partita è aperta, e ci provi. Ma il mio lavoro è lanciare le punte: un lavoro senza fronzoli.”
Lavoro senza fronzoli, senza mezzi termini, senza limiti. Proprio come era lui, senza limiti.
… Stay Tuned!!! Perchè i macellai, non sono cattivi come pensate. Lo sono di più.
Di Anna Ciccarelli
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