Ciò che non uccide, fortifica. E i vecchi detti di paese fanno sempre bene.
Così come bene potrebbero fare al Napoli, in uno dei momenti peggiori della sua vita recente, di quella parentesi vitale che s’è aperta nell’ultimo decennio e che ha visto la squadra azzurra tornare nel gotha del calcio italiano ed internazionale.
Ciò che non uccide, fortifica. Eppure il Napoli ce la sta mettendo tutta per uccidersi con le proprie mani.
Partite perse, prestazioni inguardabili, serate da cancellare. I dissidi interni che spaccano lo spogliatoio e quelle mezze accuse di un padre ai suoi figli che, ad oggi, fanno più male che bene.
Aurelio è padre-padrone, e come tutti i padri di questo tipo avrebbe dovuto chiudere prima la porta di casa.
“Tu stasera non esci”, avrebbe dovuto dire, urlare prima di arrivare ad oggi.
Ma in fondo il mestiere di padre non di insegna, e si apprende solo strada facendo. E a dieci anni i figli cominciano a dare i primi problemi. Non sono bambini, ma neanche adolescenti. E in quella fase di transizione ci sguazzano con piacere.
L’UNICA COSA CHE CONTA – Il ritiro è una punizione. Una di quelle senza soluzione di continuità.
DIVENTARE GRANDI – È crisi? Si, lo è, ma non deve trasformarsi in una sconfitta ancora più grande. Dopo le ultime ottime stagioni, il Napoli conosce un calo, un momento di flessione fisiologico se si pensa a dove si è partiti e dove si è arrivati.
A cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)
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