a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
Mi chiamo Tebaldo. Sì, come il personaggio di “Romeo e Giulietta”. No, mio padre non era un letterato. Mia madre nemmeno. Sa, sono nato a Catanzaro, e sotto quel cielo si pensa al mare, al sole e al pallone. Quello che ho cominciato a calciare quando avevo solo 6 anni e il desiderio di diventare un grande calciatore. Un centravanti implacabile, oppure una mezz’ala con addosso la numero 10 e sulle spalle il peso del proprio talento. Sognavo a occhi aperti, finché un mister non mi disse “Guaglio’… tu sei lento e tieni le fette di pane raffermo al posto dei piedi. Però sei alto e tosto come il golfo di Squillace. Piazzati in difesa e non far passare nessuno. Capisti? A nessuno!”. E così feci.
Il centravanti, l’ala tornante, il fluidificante, non faceva differenza: li fermavo tutti. In scivolata, con un anticipo di testa, oppure con un pestone sul piede quando l’arbitro era girato dall’altro lato. E poi crescevo. Dalla seconda media al diploma superai il metro e ottanta e fui costretto a rannicchiarmi in quel lettino da cui non volevo separarmi. Eppure fui costretto. Al Palermo serviva un ragazzo da lanciare e quel marcantonio con la barba incolta e il torace villoso sotto la maglietta sembrava il ragazzo giusto. Cinque campionati, una promozione dalla serie C e una squalifica della quale non parlo troppo spesso.
Ma parlo volentieri di quella telefonata che mi fece Pierpaolo Marino. «Tebaldo» mi disse con la voce nasale «mi serve un difensore per completare la rosa. Bianchi vuole un giovane che si accontenti di fare qualche presenza e crescere al fianco di Renica, Ferrara e Bruscolotti. Che dici, ti va di giocare nella stessa squadra di Diego Maradona?». Marino continua a chiedere, mentre io già riempivo lo zaino e mi preparavo a prendere il traghetto.
E con quel Napoli fu scudetto e coppa Italia. E poi la coppa Uefa. E ancora uno scudetto. Quatto anni in cui ho giocato poco, è vero. Però è parte di una squadra diventata leggendaria. Al pari del Real, dell’Inter e di tutte quelle formazioni a cui dedicheranno libri, film e serie in televisione.
Però daranno voce sempre ai soliti: centravanti diventati nel frattempo prime punte e falsi nove; oppure una mezz’ala trasformatasi in fantasista, trequartista e mezza punta. Dei difensori, poi, non si ricorderà nessuno. O forse sì. Qualche nostalgico che vorrà raccontare la favola di una riserva che vinse due scudetti insieme a Maradona. Perché dentro quel Napoli c’ero anche io. Il ragazzo col nome shakespeariano e l’accento calabrese. Io, Tebaldo Bigliardi.
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