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PAQUIPEDIA – Dal deserto alle stelle, Faouzi Ghoulam

Faouzi Ghoulam © Getty Images

 

Ricorda bene, anzi benissimo, il suono di una risata. Anzi più di una, perché quasi tutti cominciarono a ridere quando dichiarò «Voglio diventare un terzino».
«Tu?» gli rispose uno dei più arditi, guardandolo fisso negli occhi. «Allah ti ha fatto dono di lunghe leve e di un fisico possente. Devi giocare al centro dell’area di rigore e incutere timore agli avversari. Sei nato per fare il centravanti, Faouzi».
Era una notte fredda, quella. Il deserto algerino era silenzioso. Soltanto il crepitio delle fiamme interrompeva la monotonia di un giorno d’inizio febbraio.
Quella notte Faouzi aveva compiuto vent’anni e davanti agli altri tuareg fece una scelta: difendere i colori di quella nazione, l’Algeria, che conosceva poco e solo attraverso i racconti di genitori e anziani parenti. Nonni coi volti cotti dal sole e dal vento secco, anziani dei quali invidiava la saggezza e gli occhi curiosi con cui osservavano il mondo. Pensando, forse, a loro fece quella scelta: onorare la sua terra d’origine indossandone i colori come una seconda pelle, non curandosi troppo del prestigio di una nazione, la Francia, che lo aveva visto nascere e che, calcisticamente, lo avrebbe potuto rendere un calciatore ancor più competitivo. Specie dopo quella scelta: fare il terzino.
Ruolo atipico, per spiegare il quale dovette spendere tempo, parole ed energie, nel tentativo di convincere gli scettici a lasciargli la possibilità di esprimersi lungo un lato del campo.
Rimanendo, forse, ai margini del gioco oppure, secondo la sua visione, risultando più determinante di altri calciatori. «Sei asciutto e possente come un felino, Faouzi. Non puoi restare ai margini del gioco» gli disse un vecchio amico col capo coperto da una kefiah impolverata.
«Sono agile come una gazzella» rispose determinato Faouzi, dall’alto di quella torre imbrunita che era il suo corpo. «E come tale voglio comportarmi. Lasciarmi dietro gli avversari, disorientarli con la mia corsa poi, giunto nei pressi dell’area di rigore, lanciare il pallone verso il centro. Segnerò poco, è vero, ma sarò un calciatore indispensabile per qualsiasi squadra. E sarò più longevo di qualsiasi centravanti dal fisico imponente». «Mi hai convinto» disse l’uomo con un sorriso sincero, «che Allah ti assista, amico mio».

LA FRANCIA E NAPOLI

Ripulì la tunica dalla polvere e prese a camminare Faouzi, lasciandosi alle spalle un falò che lentamente si spegneva e immergendosi nel desertico silenzio rotto solo dallo scricchiolio della sabbia sotto i piedi.
Passi lenti, gli ultimi della sua vita. Ritornato nella civiltà, infatti, riprese a correre, sempre più velocemente. Tornò nella sua Francia con un giuramento di fedeltà a un’altra nazione. Non era un tradimento, solo la consapevolezza delle proprie origini. Il sentire, dentro le vene, lo scorrere di un tempo antico e di una terra lontana.
Accelerava in campo, lasciando senza fiato gli avversari e godendosi gli elogi di allenatori e addetti ai lavori che apprezzavano quel ragazzo dal colorito bruno, agile ed elegante come una gazzella. Uno capace, come pochi, di piazzare palloni al centro con la precisione dei grandi numeri 10. E s’accorse di lui il Napoli che, durante un inverno di qualche anno dopo, decise di affidare a quel ragazzino con la parlata francese e i tratti somatici nordafricani l’intera fascia sinistra, tanto in territorio italico quanto nelle trasferte in giro per il mondo. Un globo che Faouzi avrebbe riconosciuto immediatamente, rispecchiandosi negli occhi di qualche curioso antenato.

 

 

a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)

 

 

 

 

 

 

 

Gennaro Arpaia

Iscritto alla facolta di Giurisprudenza della Federico II Napoli. Giornalista pubblicista iscritto all'albo da giugno 2013.

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