“Ho visto Maradona. E ci ho pure giocato insieme”. Avrebbe potuto scegliere questo come titolo per la propria autobiografia partenopea, Eraldo Pecci, un calciatore che, appese le scarpe al chiodo, ha fatto delle parole una nuova ragione di vita.
Parole spese per commentare partite al fianco di navigati professionisti della comunicazione, oppure per raccontare la propria idea di calcio sulle pagine di un quotidiano.
Ma pure quelle parole che, giustificate e paragrafate, compongono la sua prima fatica editoriale dal titolo Il Toro non può perdere, un romanzo nel quale trova respiro la rincorsa granata alla Juventus di Platini.
E una rincorsa fu pure la sua unica annata azzurra, conclusasi al terzo posto, trascorsa a fare da gregario a quel Diego Armando Maradona che avrebbe avuto bisogno di un campionato ancora prima di regalare lo scudetto al Napoli ed ergersi a più forte calciatore di tutti i tempi.
Una stagione, quella 1985/86, tutta corsa e sudore; trecentosessantacinque giorni, o poco meno, che Eraldo porta ancora oggi nel cuore, a distanza di trent’anni da quell’esperienza in maglia azzurra.
a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
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