Alla fine, la remuntada arrivò. Si, ma non al San Paolo purtroppo, direttamente a molti chilometri di distanza, da una squadra che nell’ultimo decennio ne ha fatte vedere di tutti i colori.
Non è stato il Napoli ad eliminare una squadra spagnola, ma una squadra spagnola a fare a fette i parigini del PSG, quelli che ogni estate investono milioni su milioni, hanno alle spalle emiri e non vendono i propri gioielli.
Eppure, l’epilogo è lo stesso da molti anni.
Remuntada, con la ‘u’ del catalano (in castigliano sarebbe più consona la ‘o’) perché una cosa così non la fai al Bernabeu, ma al Camp Nou.
Dal famoso “Iniestaço” (il celebrato gol di Iniesta che alo scaderedi Chelsea-Barcellona consentì ai catalani, poi campioni finali, il passaggio del turno) a questa roba qui, il Barcellona si conferma la squadra di marziani che negli anni ha dimostrato d’essere.
Contro tutta la critica. Perché nemmeno un mese fa, dopo quel pesante 4-0 a Parigi, tutti (ma proprio tutti) erano pronti a celebrare la caduta del mito. E come dargli torto?
Nei 185 precedenti nelle stesse condizioni, mai una squadra era riuscita a qualificarsi dopo aver incassato un poker.
I blaugrana ci sono riusciti, con la forza delle idee e il coraggio di cambiare: non solo gli uomini ma proprio i moduli, perché dopo anni di credo calcistico Luis Enrique lancia un innovato 3-4-3 con Messi addirittura vertice alto del rombo a centrocampo.
La cantera, poi, tanto criticata negli ultimi periodi, fa sempre la sua parte: a segnare il definitivo 6-1 al 95′ è il 25 Sergio Roberto, talento apprezzato, ma mai veramente sbocciato negli ultimi anni.
Se un progetto celeste c’era, era giusto che a segnare il gol decisivo fosse lui, accompagnato dalla grandezza dei compagni.
Perché a certi livelli e in certe occasioni, non bastano gli investimenti qatarioti a portarti avanti.
La classe, la tecnica, l’attitudine mentale vincono su tutto. Anche sui soldi.
a cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)
