Insigne: Tecnica e fiuto del gol, quando la statura è il punto di forza

 

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Due centimetri in meno di Diego Armando Maradona, sotto di sei rispetto a Lionel Messi. Non che l’astro nascente del Napoli, Lorenzo Insigne, possa essere paragonato a fenomeni del calcio mondiale che fu e che è. Ma il parallelismo regge, per ora, solo sull’assioma (che in determinati ruoli del calcio vale) che la classe ed il talento non possono misurarsi in centimetri. Insigne ha fisico e tecnica, rispetto ai campioni di cui sopra dovrà dimostrare continuità negli anni. Dovrà reggere le pressioni e crescere. La statura, che per alcuni da piccolo era un problema, è diventata il suo punto di forza, infatti il baricentro basso che metaforicamente lo colloca nel subbuteo, lo rende spesso imprendibile agli avversari.

Altra caratteristica: le sue giocate non sono mai l’una uguale all’altra. E’ imprevedibile, eppure non indisciplinato. Forse è questa la principale differenza con Lavezzi. Mazzarri deve spiegargli i meccanismi, non la posizione in mezzo al campo. Qualcuno ha definito Insigne l’erede di Lavezzi. Effettivamente è geniale quanto il pocho, ma è più potente ed ha maggiore fiuto del gol. Il Pocho si muove più da seconda punta, è anarchico. Quasi rifiutasse lo schema, mentre Insigne tende ad assecondarlo. Lavezzi non proviene dal settore giovanile italiano. E’ cresciuto calcisticamente senza educazione, senza rigore. Non a caso, con Mazzarri (maestro del rigore tattico) in due anni ha avuto una evoluzione. Probabilmente affinerà la sua tattica con Carlo Ancelotti, altro educatore italianista. Insigne, al contrario, si è nutrito di tattica, ha imparato. Si è sacrificato, ha ben chiaro il perimetro di campo entro quale muoversi. I suoi gol sempre un concentrato di tecnica e potenza. Qualche esempio: la doppietta col Pescara firmata nel 6-0 rifilato all’imbarazzato Padova in casa fu uno show. Il primo gol: destro a giro dal limite, dal vertice destro dell’area, alla Del Piero. Il secondo: controllo a seguire in velocità, quasi a centrocampo e tutto defilato sulla fascia sinistra, con finta e dribbling volante sul difensore, scatto da Bolt verso l’area e tocco morbido di destro in porta. Come se il pallone fosse il boccino del biliardo. E ancora, stop di velluto e destro dinamite in area, con il Sassuolo; e poi, una magia simile a quella regalata con il Bayer al San Paolo, ma conclusa in gol: scatto bruciante, dribbling e conclusione alla Careca. Era contro il Torino, così Insigne salutò il Pescara.

La sua nuova vita è cominciata il 10 luglio, a Dimaro, e proseguirà attraverso l’iniziazione ad un altro calcio, quello di Walter Mazzarri, che certo si gioverà di ciò che il talento di Frattamaggiore ha imparato nel biennio passato e che comunque prevederà esercitazioni e movimenti diversi, in ossequio ad una strategia tattica differente. L’Insigne che è esploso nel calcio è l’esterno naturale del 4-3-3 di Zeman, il maestro del calcio offensivo, l’uomo dei tagli, delle diagonali, dei sette uomini al di là della linea della palla. Insigne nasce trequartista o secondo punta e con Zeman, prima a Foggia e poi a Pescara, si evolve e viene mutato geneticamente nell’esterno (alto) del tridente, avendo sensibilità con entrambi i piedi. Lui è destro, ma gioca indifferentemente a destra o a sinistra. E, comunque, come da codice zemaniano, a lui viene chiesto di appoggiarsi sulla sponda del centrale e poi cercare la porta dalla distanza o attraverso l’inserimento.

La crescita tattica di Lorenzo Insigne è stata evidente soprattutto nell’ultima stagione, caratterizzata da una concretezza a tutto campo, dalla capacità di andare a coprire (sino a scalare alla propria area per accompagnare la fase difensiva) e dunque di assicurare alla squadra gli equilibri necessari: merito di un fisico esplosivo e anche di una condizione atletica rilevante. Con Zeman, la porta viene attaccata in massa, è vero, ma – lo dicono pure le statistiche – sono gli esponenti del fronte offensivo a godere dei maggiori vantaggi: merito della pressione nei sedici metri, che favorisce i tre terminali sulle percussioni degli esterni. L’Insigne dei due anni trascorsi alla corte del boemo ha avuto modo di giocare con colleghi rapidi, strutturalmente normali – Immobile, ad esempio; o anche Sansovini; e prima ancora Farias – oppure a lui simili, come Sau. Calciatori dediti all’uno-due, alla spinta centrale per andare a chiudere dopo il dialogo nello stretto con la mezzala che corre a sostegno o con lo stesso fluidificante che ha spinto.

Diciannove reti in serie C, diciotto in serie B: alcune prodezze a campo largo, dove le doti anche da contropiedista si staccano dalla media; oppure giochini da maghetto estrapolati dal caos dell’area di rigore. Insigne ha dimostrato di saper divertire sia di qua che di là, di essere sufficientemente altruista e però anche un pizzico egoista, caratteristica che non si può estirpare ad alcun attaccante che sia tale. Si può sicuramente mitigare e Walter Mazzarri è già lì a lavorarci, a chiedere di non cercare la giocata a tutti i costi se c’è un compagno libero in area. Con Mazzarri, nel 3-5-1-1, chi sta a supporto del centravanti ha un campo teoricamente più ampio, ma si ritrova con un riferimento più verticale. La fase passiva include una copertura (probabilmente) sul regista basso avversario, quella attiva invita a scegliere i tempi giusti per l’inserimento, un’attenzione maggiore per chi è vertice alto (al cui servizio si è dediti), che può utilizzare le seconde palle o anche il movimento oscillante dell’uomo-boa. Aperture centrali sugli spostamenti dell’avversario attraverso la circolazione della sfera e il cambio gioco, con palla dentro per chi viene a rimorchio.

Un altro Lorenzo Insigne sta per arrivare ma ha la stessa bravura di quello precedente. Aveva già avuto modo di conoscere i meccanismi di Walter Mazzarri nei sei mesi precedenti al trasferimento (in prestito) alla Cavese, quando il tecnico toscano ebbe anche il tempo di farlo esordire in prima squadra. I ritiri stagionali fatti a Dimaro prima di raggiungere Zeman a Foggia e poi a Pescara sono fotografie comunque fisse nella memoria di chi come lui era consapevole di dover farsi le ossa prima di rientrare alla base. Ha ritrovato Mazzarri e ne è felice. Sta acquisendo i suoi schemi, si è messo al servizio della causa con umiltà ma forte personalità. Lorenzo Insigne è già un idolo del San Paolo, la gara col Bayer Leverkusen gli ha detto che ad ogni tocco di palla, c’è un pubblico che lo incita, lo applaude. Vuole il massimo da lui.

 

Fonte: Corriere del Mezzogiorno

 

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