Sfrontato in campo, riservato fuori: Insigne modello vincente

 

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Di destro, di sinistra e (persino) di testa: oh mamma, mamma, mamma, quel geniaccio senza macchia e (soprattutto) senza paura che ora trascina nel mondo dei sogni, s’è messo in testa qualche marachella meravigliosa; e in un campionario tanto vasto quanto imprevedibile, la sintesi che fa la differenza non è nei tre gol segnati agli onorevoli avversari della Rappresentativa Trentino, ma nella naturalezza con la quale s’è messo a domare il pallone, per poi tracciare una scia luminosa. La stellina polare che incanta e seduce è in un bonsai gigantesco in cui c’è racchiuso il calcio e la sua essenza, la sublimazione del gesto tecnico e la padronanza con cui va confezionato, la potenza del calcio, l’eleganza delle movenze, la solennità di quei gesti di zemaniana memoria: si scrive Insigne ma poi si cancella immediatamente tutto, come un colpo di cassino sulla lavagna, perché il futuro non può essere adesso, al termine di un’amichevole qualsiasi, e fa niente sè è stato tutto terribilmente bello.

AFFETTO SPECIALE– Il giorno dopo è una tuffo nei sentimenti più autentici, il desiderio di starsene con papà Carmine, con mamma Patrizia, con Antonio Ottaiano – non solo il procuratore, molto di più – e poi d’andarsene tutti assieme e felicemente da Roberto, l’altra metà del cielo (calcistico) di casa Insigne che sta in ritiro a Pejo, una manciata di curve al di là del can-can che ormai lo circonda e che alle nove e mezza del mattino, nel centro di Dimaro, gli fa scoprire i prodigi della celebrità che costringe a prendere un caffè firmando autografi, con occhi estasiati intorno che ti scrutano.

CANNAVARO BOYS– La cronaca separata dalle opinioni va archiviata e ciò che resta di una «prima» entusiasmante (e però sempre al cospetto di dilettanti) è la sfrontatezza in ogni iniziativa, la capacità di andarsi ad assumere il rischio della giocata, mai una che fosse banale, e quella allegria che arricchisce, e praticamente alleggerisce, l’intraprendenza nell’andare all’uno contro uno, nel saltare l’uomo, nel deliziarsi con qualche conversione, di stupire fingendo d’entrar dentro, nell’area intasata, ma semplicemente per aspettare la sovrapposizione dell’esterno che giunge alle spalle e del quale avverte la presenza. E allora, quelle poche ore di riposo servono per staccare la spina, per allontanarsi dagli elogi, per mostrare la propria maturità non con l’indifferenza ma con un atteggiamento di sano pragmatismo, mentre Paolo Cannavaro, ritrovatosi con l’affido calcistico per carisma, simpatia e napoletanità esibita lungo il viale che riconduce alla realtà della fatica quotidiana: “Sto ragazzo è bravo ma non fategli troppi articoli, sennò dobbiamo mandarlo all’Acireale in prestito”.

MISTER SIMPATIA– Lorenzino è magnifico a prescindere, per quel che fa, per come lo fa e per la capacità di non prendersi mai troppo sul serio, di dribblare l’entusiasmo altrui con la riservatezza propria, di rifugiarsi con Roberto negli sguardi amorevoli dei genitori e di sfuggire alle lusinghe (effimere) d’un calcio estivo che ha valore assai relativo, ma che però sa essere assai esplicativo. Perché è tutto terribilmente falso, per il momento, tranne la luminosità d’un gioiello che s’è già incastonato in quel cielo dipinto d’azzurro.

Corriere dello Sport

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