SHOWTIME – Cullati dalle note giuste si può sopravvivere all’oblio del tempo

cloud atlat piano

È possibile che questa macchina tanto complessa che è l’uomo possa valicare i confini del tempo non soltanto attraverso un proprio lascito fisico ma grazie a un filo impercettibile in grado di generare enormi matasse di destini? Forse è questa la domanda alla base dell’ispirazione che anni fa colse David Mitchell, autore inglese che nel 2004 ha pubblicato Cloud Atlas. Un romanzo a dir poco articolato, composto da circa 600 pagine di inventiva e arte dell’intreccio. Se la versione cartacea forse risulterà sconosciuta ai più, quella filmica, portata nelle sale dai fratelli Lana e Andy Wachowski, farà di certo storcere meno nasi e aggrottare meno fronti.

I creatori della saga fantascientifica di Matrix offrono stavolta un soggetto ben più complesso dal punto di vista narrativo. Nessuna pillola o tana del bianconiglio da percorrere fino alla sua estremità più profonda, bensì storie di vite distanti decenni o secoli, connesse da un simbolo e dalla voglia di apportare un cambiamento nel proprio mondo.

Un terzo elemento e ultimo elemento di connessione, forse il più blando e meno incisivo, è rappresentato dalla musica. Il Sestetto dell’Atlante delle Nuvole perdura nei secoli, librando nell’etere e sfiorando qualunque animo si dimostri sensibile alle sue note. Un popolo che può di certo comprendere tale profondo legame è quello partenopeo, che produce, ascolta e canta un numero imprecisato di canzoni nel corso della propria esistenza. La maggior parte di queste si perde nei meandri della memoria in pochi anni, ma a sopravvivere per sempre sono poche prescelte melodie, come una risalente al 1915, epoca in cui a mettere nero su bianco, testo e melodia, erano poeti e direttori d’orchestra. Si parla ovviamente de ‘O Surdato ‘Nnammurato.

In tanti l’hanno cantata, ma l’effetto che è in grado di produrre un coro di 60mila anime, sgraziato ma potente, è semplicemente impareggiabile. Il San Paolo ha eletto in maniera spontanea a proprio inno una canzone struggente, che parla di un amore struggente, straziato dalla guerra. Di certo mentre il poeta Aniello Califano muoveva la penna sul foglio non aveva in mente in alcun modo di scrivere una lettera d’amore per Napoli, eppure oggi è ciò che è divenuta.

Una canzone può superare gli argini del tempo, ma ciò non vuol dire che debba restar fedele al proprio animo originario. I tempi cambiano e così ‘O Surdato ‘Nnammurato presenta oggi alcune gradazioni differenti di colore rispetto a circa un secolo fa. Eppure, nonostante tale dimostrazione di rara armonia napoletana, il presidente De Laurentiis, uomo con lo sguardo perennemente volto al futuro (non soltanto alle prossime vacanze di Natale), pare fortemente intenzionato a offrire in dono ai suoi tifosi un inno nuovo di zecca, simile a quelli che tante squadre inneggiano ogni settimana durante i match di serie A. Quelli per intenderci che ripetono quasi incessantemente il nome della squadra cui sono dedicati. ‘O Surdato ‘Nnammurato invece la parola Napoli non la utilizza mai. La gente allo stadio sa per chi e cosa stanno cantando, così come i calciatori in campo percepiscono che quelle note e parole d’amore sono rivolte a loro.

Al momento tra le mura della casa del Napoli risuona uno strano remix che lascia interdetti tutti e impedisce il canto libero. Dalle curve, pancia e cuore del San Paolo, partono dei fischi e il resto dei tifosi abbandona il proprio settore senza poter lanciare il solito bacio alla maglia, ai colori e alla storia. Pare sia giunto ora il momento di un inno rap, perché la mutevole moda musicale del momento lo richiede, e l’uomo che guarda al futuro stavolta si concentra sul presente e prova a cavalcare un’onda che sa già essere a ridosso di un muro di scogli e dunque pronta a morire.

L’ufficioso inno azzurro è nel cuore dei napoletani (tifosi o meno) dal 1915, e di certo, nonostante questo periodo in cui si è costretti a star lontani, ‘o primmo ammore non sarà mai dimenticato, in attesa del giorno in cui il cuore annichilirà il merchandising.

Di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

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