Da nadir a zenit: la parabola magica del Chievo

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GLI ALBORI – Cinque signori distinti, eleganti e impeccabilmente borghesi, scortano undici ragazzi in rigorosa tenuta da gioco. Cravatte volteggianti sferzate dalla brezza si mischiano a casacche a scacchi bianche e nere poggiate delicatamente su calzoncini corvini, ad eccezione del ragazzo accosciato al centro. Berretto che fa bella mostra di sè ed espressione rassicurante, stringe orgogliasamente a se un pallone sdrucito dal tempo e dalle carezze non troppo affettuose delle affilate prominenze degli scarpini. Sullo sfondo l’erbetta irriverente e dissacrante di un campo sportivo. Istantanea romanticamente in bianco e nero datata 8 Novembre 1931. Non un giorno qualunque per Chievo, quartiere di Verona dove è possibile ascoltare il battito fedele dell’Adige e dove può essere interessante attraversare il ponte diga sullo stesso fiume. E’ infatti il giorno del debutto dell’Opera Nazionale DopoLavoro Chievo, la piccola compagine di quartiere partorita dalla passione di un gruppo di appassionati due anni prima. Allo Stefani, storico campetto situato all’interno del parco comunale, è atteso il Domegliara. La partita, valevole per i Campionati Liberi, organizzati dalla FIDAL, sarà vinta dai clivensi almeno in un primo momento. L’affermazione infatti sarà revocata dopo un reclamo degli avversari e la squadra bianco-azzurra (già, perchè erano questi i colori sociali impossibili da evincere dalla foto ) verrà beffata per 2-1 nel recupero giocato qualche giorno più tardi. Inizia così, con un intoppo burocratico, la parabola calcistica del Chievo Verona.

 

I PRIMI SUCCESSI – Nel 1933, trascinata da Umberto Busani, noto a tutti con l’appellativo di Berto, la squadra conquista il torneo provinciale, acquisendo il diritto a partecipare alle finali venete dove si classificherà seconda. Successo bissato due anni dopo, prima dell’infausto scioglimento per problemi finanziari avvenuto nel 1936. Sono gli anni che precedono il secondo conflitto mondiale, in Italia il fascismo continua la sua ossessiva propaganda, sull’Europa soffiano venti di guerra e il Chievo ha esalato il suo ultimo anelito. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la squadra viene rifondata con il nome di A.C. Chievo Verona e nel 1948 si torna ad assaggiare la Seconda Divisione. Due le novità rispetto al passato: mutano i colori sociali, da un candido e tenue bianco-azzurro si passa ad un più accesso gialloblù e cambia anche lo stadio, dallo Stefani si va a giocare al “Cardi e Biondani, ex palude bonificata grazie all’alacre e perseverante lavoro di volontari e appassionati.

 

LA RINASCITA – Gli anni ’50 sono gli anni della rinascita. Nel ’52 fa il suo esordio Bruno Vantini, autentica macchina da goal e bandiera di questo club che con i suoi centocinquantanove centri siede ancora oggi sullo scranno più alto della classifica marcatori all-time dei clivensi. Dopo l’ennesimo trasloco, dal Cardi al parrocchiale “Carlo Bottagisio”, la squadra cambia ancora una volta denominazione, diventando CardiChievo. Sono gli anni dell’approdo in Prima Categoria, ma sopratutto dell’arrivo in seno alla società di Luigi Campedelli, lo “sceicco” patron della Paluani. E’ la svolta. Il Chievo in poco tempo scala la piramide calcistica italiana. Dopo un lungo peregrinare carambolando tra Prima e Seconda Categoria nel 1970 i clivensi ottengono il diritto a partecipare al campionato di Promozione. Gli anni ’70 vedono l’ammainarsi di alcune biandiere gialloblu (colore adottato nel 1959) come Vantini e Danese. Sono gli anni di Nicola Ciccolo, esperto e scafato attaccante con un passato tra Lazio, Inter e Verona che caratterizerà tutta l’epoca dilettantistica dei Mussi Volanti.

 

L’APPRODO NEL CALCIO PROFESSIONISTICO – Nel ’75 arriva la tanto agognata promozione in serie D,merito anche delle diciannove reti messe a segno da bomber Riccardo Gregorotti. Ai nastri di partenza del primo campionato di quarta serie la squadra torna a chiamarsi nuovamente A.C. Chievo Verona, denominazione dettata da una norma presente nel regolamento della Lega che non contempla il connubio con gli sponsor. Persi i fondi della Cardi, il Chievo riesce a superare il momento critico grazie alla nobile iniziativa dei suoi calciatori che di loro spontanea volontà si decurtano gli emolumenti. Gesto che permette ai gialloblu di proseguire la loro stupefacente traiettoria. Per approdare nel calcio professionistico bisogna aspettare il 1986, quando dopo un’ incredibile cavalcata El Cèo, cosi come viene chiamato affettuosamente il Chievo, si ritrova appaiato al Bassano. Per decidere la squadra da promuovore si rende necessario uno spareggio. E’ il 18 Maggio 1986, al “Rigamonti” di Brescia davanti a tremila spettatori il Chievo si arrende ai calci di rigori. Non tutto è perduto però, il Bassano su cui pende un sospetto di illecito viene condannato e per i clivensi si spalancano le porte del professionismo. Il “Bottagisio” non è pero adatto ad ospitare incontri di serie C2, i gialloblù iniziano così a disputare le loro partite casalinghe allo Stadio Bentegodi.

 

LA MORTE DI CAMPEDEDELLI SENIOR E LA B – Dopo due anni passati a lottare per la promozione, nella stagione 1988-89 i Mussi chiudono il campionato al primo posto e ottengono il pass per la C1. Nuova svolta il 15 Novembre 1992, giorno in cui scompare in seguito ad un attacco cardiaco, Luigi Campedelli, l’uomo che aveva rilevato la società nel 1964 e che nel frattempo ne aveva cambiato i connotati onomastici in un più identitario A.C. Chievo Verona. Il timone passa cosi al figlio Luca, imberbe ventitrenne che raccoglie il testimone del padre. Elaborato il lutto, i gialloblu colgono la storica promozione in Serie B nel 1994, grazie al goal di Giuliano Gentili a Carrara. E’ una giornata memorabile, è il 29 Maggio 1994 e da Verona accompagnano la squadra in quattromila, numero esorbitante se si pensa alle dimensioni del quartiere. Sono presenti più tifosi che abitanti. Demografia confutata e teoremi spazzati via dalla magia del calcio.

 

LA SERIE A E IL CHIEVO DEI MIRACOLI – L’appetito però si sa vien mangiando, ed e così che i gialloblù, dopo una gavetta di sei anni in cadetteria, nel 2000-01 coronano la scalata con  una favolosa promozione in Serie A. La squadra guidata in panchina da Luigi Del Neri e in campo dai vari D’Anna, Marazzina, Corini e Zanchetta giunge al terzo posto e sale in Serie A. Il Chievo era riuscito in un’impresa unica nel suo genere: riuscire a scalare gradino per gradino la piramide calcistica italiana. Il resto è storia dei giorni nostri, con il Chievo impegnato costantemente nell’esercizio di stupire tutti gli addetti ai Lavori. Da allora il Chievo ha disputato sempre campionati di Serie A, tranne nel 2007-08 quando con Iachini al volante rimediò repentinamente alla retrocessione dell’anno prima. In questo segmento iniziale di secolo i clivensi hanno toccato cime e solcato orizzonti inimmaginabili, arrivando anche a disputare la Coppa Uefa e persino un preliminare di Champions League venendo sconfitti dal Levski Sofia. Catapultati dal nadir allo zenit del calcio italiano. Una fiaba degna dei fratelli Grimm.

 

A cura di Vincenzo Lacerenza

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