SHOWTIME – Non sembra esserci cura per questa serie A infetta

io sono leggenda

Nel 2008 Will Smith si è ritrovato ad affrontare una delle prove attoriali più dure della sua carriera, restando solo (Pastore tedesco escluso) a recitare per quasi la totalità di Io sono leggenda, il secondo tentativo di stravolgere una celebre opera letteraria. Dopo Asimov ecco Matheson. Alla fine però poco conta. Come si dice in questi casi, i mezzi adoperati sono differenti e dunque è giusto (?) che ci siano cambiamenti, anche a volte molto evidenti.

Il film si pone una domanda che ormai definire noiosa sarebbe dir poco: “Cosa accadrebbe se la popolazione umana venisse falcidiata da un virus letale in grado di riempire il mondo di zombie?”. Ecco in Io sono leggenda Lawrence prova a dare la sua risposta, che corrisponde a uno dei pochi scienziati al mondo palestrati, immune sia al virus che alle conseguenze di una lunga vita sedentaria in ufficio, che se ne va in giro per New York, semi distrutta, eccezion fatta per qualche negozio e il suo laboratorio.

Le regole sono semplici, un po’ come per i Gremlins: cala la notte e ci si barrica in casa, in silenzio. Per fortuna il Pastore tedesco è un cane intelligente, e così sa bene che può abbaiare liberamente tutto il giorno ma non quando il suo padrone gli si avvinghia addosso nella vasca da bagno. Eppure c’è sempre un buon motivo per infrangere le regole, e uno di questi è rapire uno zombie, portarlo in laboratorio e curarlo, o almeno provarci. Peccato però che gli zombie non siano tali, bensì uomini ormai mutati e dotati di sentimenti ed esperienza in tattiche belliche.

Grazie al doppio finale contenuto nel dvd nessuno resta deluso, e alla fine si scopre, chi l’avrebbe detto, che in fondo per questa nostra razza combina guai c’è ancora un filo di speranza. Speranza che forse è destinata a esaurirsi se si parla di serie A. C’è grande scalpore per il caso Parma, com’è giusto che sia, ma come in ogni film epidemico che si rispetti, tutti i riflettori sono puntati sui singoli casi, almeno fino a quando l’epidemia non si dilaga a macchia d’olio, inglobando l’intero sistema e facendolo marcire.

Detto questo, gli immani debiti del Parma rappresentano un caso che merita risalto ma, con il fallimento ormai a un passo, si proceda con i provvedimenti giudiziari e si trovino i soldi per dare il dovuto ai dipendenti (non parlo dei calciatori), affrontando seriamente fin da ora la questione dei debiti di tutte le altre società del nostro calcio.

C’è poco da stare allegri se Atalanta, Chievo, Fiorentina, Genoa, Lazio, Torino e Verona presentano un bilancio positivo pari, in totale, a circa 5 milioni in meno rispetto a quanto dicano i conti del Napoli (20 milioni), stando a un grafico pubblicato da La Gazzetta dello Sport. Il virus si è già diffuso, ormai da anni, e 11 società su 20 presentano un rosso in bilancio, con Roma e Inter che andranno incontro a sanzioni in base al fair play finanziario, il Milan che prova a evitare il tracollo affidandosi a investitori orientali e la Juve che, grazie a stadio di proprietà, Champions, accordi televisivi e plusvalenze, potrebbe essere l’unica big a curarsi autonomamente dal morbo.

Ad oggi però, nonostante le tantissime critiche, a ergersi sopra la massa è la coscienziosa gestione societaria di Aurelio De Laurentiis, che ha preso un club fallito e lo ha portato a divenire una vera leggenda della serie A, un unicum da invidiare e imitare, perché in buona parte in grado di adottare in questo ambito dei criteri gestionali, aziendali e imprenditoriali, sul mercato Napoli e non solo, che altrove in Europa rappresentano la normalità ormai da tempo.

Detto questo, la realtà non offre un finale a scelta, e se una cura dev’essere adottata, lo si dovrà fare subito. Occorre rendere appetibile il nostro campionato, mettersi in regola e smetterla di vivere in una serie A targata anni 90′. Stadi, strutture sportive e agevolazioni fiscali per chi voglia investire, uniti a un controllo ligio dei conti dei vari club, potrebbero alla lunga portare alla speranza di cui si parlava in precedenza. L’alternativa è l’altro finale, quello drammatico, in cui il gioco delle banche si fa sempre più stretto, le televisioni piazzeranno telecamere nelle auto dei giocatori per spiarli durante la loro vita privata come ai tempi del rapporto Moratti-Vieri, e la serie A sarà uno spettacolo pilotato e noioso più di quanto, a volte, non lo sia già.

di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

 

 

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