L’UOMO COPERTINA – Marek Hamsik, quando il gioco si fa duro

Marek Hamsik © Getty Images

 

Sembrava poter essere la sua partita, ma la sua partita è durata in realtà solo quattro minuti. Quelli in cui il Napoli ha saputo mantenere il pari in casa dell’Inter. Poi il gol di Icardi in fuorigioco e una nave che pare affondare alla distanza, accartocciata su se stessa. Di questa nave non si salva nessuno, forse solo uno dei mozzi in mezzo al campo (Allan), ma di certo non il suo capitano. Dovrebbe indicare la rotta nelle tempeste più sfrenate, invece si rifugia in cambusa prima ancora della sua ciurma. Quella di Marek Hamsik a Milano è stata l’ennesima prova incolore, ma ormai di notizia non ne fa più. Troppo abituati i tifosi del Napoli, che lo conoscono da anni e sono ormai consapevoli delle grandi prestazioni alternate a periodi grigi dello slovacco. A San Siro la sua cresta si è vista all’inizio: possesso palla, qualche scambio in velocità, ripartenze in campo aperte. Ma di lampi di genio non ce ne sono e il Napoli ne soffre, arrendendosi spesso al non possesso in mezzo al campo.

Nella notte in cui manca Gonzalo Higuain, gli azzurri non possono affidarsi ad altri. Tradiscono tutti: dalla prestazione incostante di Insigne a quella nell’ombra di Gabbiadini, fino alle uscite ormai troppo insicure di un Reina trafitto troppe volte. Jorginho ed Allan tengono in piedi la baracca in mediana, non lo fa Hamsik, che anzi si spegne alla distanza uscendo definitivamente dal match con il raddoppio di Brozovic. Nel confronto con Medel e Kondogbia non esce mai vincitore.
Il tiro dalla lunga distanza che scuore i guantoni di Handanovic è l’unico lampo di genio della gara, uno dei pochi del Napoli. Dei suoi tagli chirurgici è rimasto poco niente e quando trova lo spazio è Murillo ad anticiparlo e rovinargli la festa. L’Inter non gli concede nulla e lui non riesce a caricarsi la squadra sulle spalle, in un continuo andirivieni che somiglia più alle montagne russe che ad una prestazione da capitano della squadra seconda in classifica.
Ed ecco venire giù nuovamente critiche e punti di domanda: è giusto che sia lui, discontinuo e taciturno dal talento innegabile e spesso intellegibile, il capitano del Napoli?
Probabilmente si. Ma se il gioco si fa duro, sono i duri a dover scendere in campo. E di partite per centrare l’obiettivo, ormai, ne sono rimaste veramente poche.

a cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)

 

 

 

 

 

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